– Perché non vuoi più giocare? – chiese Giorgio.
– Perché bari – rispose Elena.
– Non è vero.
– Si. Sei un barone.
Elena si alzò e andò a sedersi sul letto, sul quale rimase a braccia conserte.
– Sei tu che non sai giocare – ridacchiò Giorgio.
Elena non rispose.
– Aiutami a mettere a posto.
– No.
Il bambino si alzò da terra e si avvicinò al letto, poi prese una bambola di pezza che ne stava ai piedi.
– Se non mi aiuti le strappo i capelli – disse, stringendo la bambola per il collo.
– Ridammela – urlò Elena, alzandosi.
– No. Adesso glieli strappo tutti.
Elena scoppiò a piangere e corse fuori dalla cameretta.
– Mamma, Giorgio vuole tirare i capelli alla signora Maria.
Sentendo quelle parole, il bambino lanciò la bambola sul letto.
– Non è vero, – urlò – è sul letto. Io non l’ho toccata, è una bugiarda.
– Sei ancora arrabbiato con me? – chiese Elena.
Giorgio la ignorò e continuò a disegnare.
– Cosa fai? – chiese la bambina avvicinandosi al fratello.
– Io con te non ci parlo – rispose.
– Sei una spia, – continuò – e sei anche bugiarda.
– Scusa – sussurrò la bambina.
– No.
– Posso disegnare anche io?
Senza aspettare la risposta, prese un foglio e un pennarello.
– Facciamo il gioco delle macchie? Chi le fa più belle vince.
Giorgio si portò le mani alle orecchie e cominciò a urlare per coprire la voce della sorella.
Elena, di tutta risposta, prese il foglio sul tavolo e lo strappò, guardando il fratello negli occhi.
Giorgio non picchiava mai Elena, perché sapeva quello che lo aspettava dopo. Non aveva tanto paura di sua madre, perché, alla fine, erano solo urla, quanto di suo padre che, infastidito e disturbato nel suo riposarsi, zitto zitto ne dava e tante. Non si picchiano le donne, diceva sempre. E lui pensava che sua sorella non era mica una donna, piuttosto una strega che faceva di tutto pur di rovinargli la vita. Se stava facendo i compiti, ad esempio, lei iniziava a canticchiare stupide filastrocche e si rifiutava di smettere, motivando con un ” avevi solo da finirli prima “. In compenso, lui non poteva fare nulla che la disturbasse, perché Elena chiamava subito la mamma che, un po’ perché era la femminuccia di casa, un po’ perché era la più piccola dei due, la proteggeva ciecamente, attribuendo al figlio anche colpe che non aveva. Giorgio aveva provato a dirlo, che voleva una stanza tutta sua e non una, come invece era, da dividere con il suo ospite indesiderato. Ma gli avevano detto che non si poteva fare, perché la sorella aveva paura a stare da sola, mentre avere un’altra persona nella stanza la rassicurava e faceva dormire.
– Giorgio, – l’aveva svegliato una notte – posso stare con te nel letto?
Vedendo che il fratello si girava dall’altro lato, lo scosse con la mano e continuò.
– C’è l’uomo nero, ho paura.
Giorgio non rispose, ma, come faceva sempre, si spostò un po’, facendole spazio nel letto. Elena gli si stringeva e gli dava un bacio sulla guancia, per ringraziarlo, e lui, anche se la notte ne faceva segreto, sorrideva e si sentiva sempre un po’ più grande.
Quando la mamma li aveva richiamati a sé, nel piccolo soggiorno, per dare loro quella notizia, entrambi erano dapprima rimasti fermi, ancora increduli, per poi iniziare a saltare ed abbracciarsi. Tornare da soli a casa, dopo la scuola, voleva dire essere grandi e di certo avrebbero avuto, finalmente, un motivo di vanto nei confronti dei loro compagni. Giorgio non sarebbe più stato deriso per quella volta che se l’era fatta addosso, in classe, ed Elena avrebbe di certo ricevuto le attenzioni del bambino più grande.
Così accettarono di buon grado di ascoltare tutte le istruzioni e le raccomandazioni della madre. Il padre, quella sera, gliele aveva ripetute. Non dovevano separarsi per alcun motivo, non dovevano parlare con gli sconosciuti, né accettare da loro caramelle o altri regali. Poi li aveva portati alla finestra e aveva indicato loro l’unico incrocio che avrebbero dovuto attraversare, in quelle poche centinaia di metri che separavano la scuola elementare dalla loro casa.
Quelle istruzioni, Giorgio ed Elena, le seguivano sempre alla lettera, diligentemente, e nessuno dei due aveva mai pensato di disobbedire.
Venne il giorno, però, in quei primi della primavera, che Giorgio dovette rimanere a letto con l’influenza e la sorella s’era ritrovata sola nel ricoprire, ogni giorno, quella distanza che a lei sembrava così lunga, senza nessuno con cui parlare. Era un mercoledì quando Giorgio, seppure febbricitante, s’era accorto che stava aspettando Elena più di quanto avveniva normalmente. Rimase con gli occhi fissi sull’orologio appeso di fronte al suo letto e ne seguì le lancette fino a che non indicarono le tredici e diciotto, orario in cui sentì la chiave girare nella porta e vide la sorella entrare in stanza e buttare lo zaino per terra.
– È tardi – disse, indicando l’orologio.
– La maestra ci ha fatti uscire dopo, perché doveva finire di parlare di Giulio Cesare.
– È tardi – ripeté.
– Se non lo dici a mamma e papà, ti lascio usare i miei pastelli nuovi – lo pregò Elena, col grembiule blu in mano.
Giorgio sorrise.
– Però non me li rompi – aggiunse la bambina.
– No.
L’unica cosa che gli piaceva davvero della sua cameretta, pensava Giorgio, era che la portafinestra dava su un piccolo giardinetto, tutto loro. Quando faceva bel tempo, lui ed Elena uscivano fuori a giocare e non era come ai giardinetti, dove avevano sempre da contendersi con altri bambini ora il pallone, ora la corda per saltare. E poi la stanza era luminosa di pomeriggio e Giorgio poteva mettersi per terra a disegnare, ma in ombra la mattina e il risveglio non era forzato dalla luce del sole. Giorgio era felice che la veneziana fosse rotta, perché poteva addormentarsi guardando la luna. Sperava che i genitori non l’aggiustassero più. Al contrario, Elena non riusciva a dormire se non con il fratello, perché vedeva le cose e si spaventava. Le ombre dei rami di un albero erano fauci di orsi e altre bestie, il fischio del vento il loro ruggito.
Giorgio era alla fine della sua convalescenza e, quando tornò la sorella, stava disegnando coi pastelli, guardandosi nello specchio delle principesse e facendo uccidere la signora Maria ad un soldato.
– Non hai più niente da darmi – disse annoiato.
– Non è vero – rispose Elena, facendo attenzione alla sua bambola.
Tirò fuori dalla tasca del grembiule dei cioccolatini e glieli porse.
– Li ha portati a scuola Michele, oggi è il suo compleanno – si affrettò a dire.
Giorgio si fermò a guardarla e si domandò cosa ci trovassero gli altri, in quella bambina dagli occhi scuri ed i capelli biondi. Si strinse nelle spalle e continuò a colorare un cavaliere accanto ad un drago, con un orso morto accanto.
– Questi sono con la nocciola, come piacciono a te – insistette, porgendoglieli.
– Non li posso mangiare. Ha detto mamma che il cioccolato mi fa male, perché lo stomaco non sta bene. Devi darmi qualcos’altro.
– Ma ti ho dato tutto – replicò la bambina, rimettendosi i dolci nella tasca.
– No – disse Giorgio, guardando la mensola sopra il letto di Elena.
A malincuore vi si avvicinò e tirò fuori un quadernetto rosa, chiuso con un piccolo lucchetto.
– Tieni, – disse – però non dire niente.
Giorgio si portò la mano alla bocca, mimando il gesto di chiudere una cerniera.
– Sei il fratello migliore del mondo.
– Sì.
Di pomeriggio, la madre aveva controllato la gola a Giorgio e, soddisfatta, aveva detto che era quasi guarito. Lui aveva provato a tossire, ma si era sentito dire che era una pessimo attore. Lunedì avrebbe potuto tornare a scuola. Giorgio annuì alla domanda se avesse fatto i compiti, ma dentro di sé sapeva che non era affatto vero e che, a dirla tutta, non si era nemmeno preoccupato di chiederli a qualcuno.
– Sono contenta che stai meglio – gli disse Elena.
Giorgio restituì uno sguardo poco entusiasta.
– Così possiamo di nuovo andare a scuola insieme.
Questa volta Giorgio sorrise.
– Giorgio.
Nessuna risposta.
– Giorgio – sussurrò ancora Elena.
– Cosa vuoi?
– Non riesco a dormire. Posso stare nel letto con te?
Giorgio, come sempre, le fece spazio.
– Grazie.
Giorgio si alzò all’improvviso.
– Elena. Elena, svegliati.
– Dimmi
– Guarda! Guarda fuori. C’è qualcosa.
Elena si tirò su e guardò l’ombra che la luna allungava sul letto.
– E’ lui. Quello del diario. E’ l’uomo nero – urlò Giorgio, terrorizzato.
Due occhiali si schiacciavano sul vetro esterno della portafinestra, i palmi delle mani sudati.
Elena si risdraiò, coprendosi.
– Non ti preoccupare, – disse – è il mio fidanzato.