Probabilmente conoscete tutti la vicenda legata al termine petaloso e trovo quindi superfluo rimarcare che sia un neologismo “nato” dalla fantasia di Matteo, un bambino di terza elementare.
Come sapete, Matteo ha scritto petaloso in un tema scolastico e la sua insegnante, Margherita Aurora, dopo averlo evidenziato come errore, ha pensato che potesse essere una parola adeguata per la lingua italiana e, di conseguenza, meritevole di fare parte del nostro vocabolario.
Margherita Aurora ha così deciso di far valutare petaloso all’Accademia della Crusca e, una volta ricevuto il responso, ha deciso di condividerlo su Facebook.
L’Accademia della Crusca ha osservato che petaloso sia un vocabolo ben composto e molto chiaro e, di conseguenza, potenzialmente utilizzabile nella lingua italiana. Solo potenzialmente, però: affinché un termine venga riconosciuto come membro del nostro patrimonio linguistico, deve essere largamente diffuso tra il popolo. Insomma: deve essere un termine popolare.
Ha così preso vita una mobilitazione del web finalizzata alla promozione di petaloso. Una causa che ha visto coinvolti numerosi cittadini, importanti multinazionali e persino il Presidente del Consiglio Matteo Renzi.
Questo, per il piccolo Matteo, deve proprio essere un sogno da cui non svegliarsi mai.
Qual è il problema, allora?
Il problema è che i sogni sono labili e il più delle volte tendono a degenerare in incubi. E’ esattamente quello che potrebbe accadere a Matteo e a petaloso, dopo che la sovraesposizione dei media – per una volta corretta, aggiungerei – ha sì reso di comune conoscenza la vicenda, ma, allo stesso tempo, l’ha costretta nello scoprire il fianco al cinismo fiacco e frustrato che popola internet.
Petaloso è stato preso di mira dagli internauti che non hanno esitato a trasformarlo nell’ennesimo fenomeno trash. Se da un lato è di facile deduzione lo sciacallaggio di numerose pagine Facebook, che non fanno altro che sfornare contenuti di infimo livello e che sono alla costante e perpetua ricerca di click da parte degli iscritti, dall’altro è ancora più agevole comprendere come gli stessi utenti agiscano con una cattiveria immotivata e gratuita, figlia dell’invidia e della sola capacità di non comprendere.
L’ignoranza – in Italia dilagante molto più che in altri stati dell’Unione Europa – impedisce di capire quanto petaloso sia non solo una speranza, ma soprattutto un’opportunità.
Innanzitutto l’insegnate andrebbe erta a emblema della buona scuola e contrapposta a tutto ciò che vi è di inadeguato all’interno dell’istituzione scolastica. Margherita Aurora ha dimostrato di non volersi limitare, come molte sue colleghe e colleghi, a bollare come errore una parola sbagliata. Al contrario, ha dato una lezione molto importante alla sua classe: un errore può essere trasformato in qualcosa di positivo e non sempre ciò che definiamo sbagliato lo è per forza. Margherita Aurora, incentivando Matteo, ha incoraggiato i suoi ragazzi a non essere degli studenti passivi e svogliati, ma parte della loro materia di studio: la cultura italiana.
Proseguendo, lo stesso Matteo, fatto tesoro di questa esperienza, potrebbe diventare un uomo che non sprecherà la propria vita davanti a uno schermo, senza avere la ratio per discernere ciò che non andrebbe mai e assolutamente toccato.
Forse Matteo, avendo una famiglia e dei docenti che lo incoraggiano, non si sentirà costretto a essere alternativo, a pensare che le persone intelligenti e furbe debbano per forza avere un pensiero alternativo e controcorrente. Forse Matteo si renderà conto che, prima di tutto, nella vita è necessario averlo un pensiero. Forse Matteo comprenderà che è dietro a un’iniziativa come quella della sua insegnante che si deve unire una Nazione, rivendicando la propria identità, e non dietro a vuoti slogan e luoghi comuni.
Quello che ho realizzato io in questi giorni passati in disparte a osservare, è che preferiamo un sistema scolastico che non funziona, che riempie di nulla le teste dei propri studenti; preferiamo degli insegnanti che si siedono dietro a una cattedra senza avere la più pallida idea di cosa voglia dire passione; preferiamo pensare che tutto ciò che vada oltre alle addizioni sia inutile nella vita comune, inutile per pagare le bollette; preferiamo sentirci superiori, metterci sempre in una posizione antagonista, credendoci cinici e furbi, senza capire che siamo figli del nulla che rappresentano gli anni zero; preferiamo parlare, sempre, senza avere cognizione di quello che diciamo.
Ecco perché credo che quella di petaloso sia l’ennesima buona occasione sprecata dal nostro Paese.
Ecco perché credo che quella di petaloso sia l’ennesima buona occasione sprecata da noi nuove generazioni.
Ecco perché io sostengo petaloso: perché avrei voluto trovarmici io, quindici anni fa, al posto di Matteo.
Si, tutto bello. Peccato però che i primi ad avere sminuito il fenomeno riducendolo a puro marketing virale siano stati proprio i genitori del ragazzino, registrando il vocabolo e aprendo un sito internet dal quale vendere magliette e accessori. Se volevano ridicolizzare il fatto non potevano farlo in un modo migliore.
Non è corretto.
“Registrazioni a parte, sul web esiste già il sitopetaloso.com e su e-bay sono già in vendita le magliette floreali con relativa scritta. Sarà l’ufficio marchi ebrevetti del ministero per loSviluppo economico a questo punto a dipanare eventuali interessi contrastanti. I tempi vanno dai sei agli otto mesi.
“Immaginavo che qualcuno ci avrebbe preceduto – sospira Trovò -; noi andiamo avanti anche per evitare che si speculi sui nostri figli.”
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/03/01/petaloso-il-papa-del-piccolo-inventore-registra-il-marchio-il-ricavato-ai-bimbi-del-territorio/2510905/
Al contrario, il padre ha affermato che alla registrazione del marchio “petaloso” avrà seguito la fondazione di una onlus, i proventi della quale andranno interamente devoluti a favore dei bambini del territorio e, di conseguenza, finalizzati alla realizzazione di progetti che li possano riguardare.
Direi che la prima cosa su cui la scuola elementare debba insistere con un bambino, appena esce dalle scuole materne, è che si renda conto che esiste una importante differenza fra fatti veri e parti della fantasia. Ciò non significa che la creatività non vada promossa, beninteso, ma la scuola deve prima di tutto insegnare che trascurare questa differenza è foriero di disastri (più avanti e per tutto l’arco dell’istruzione successiva fornirà gli strumenti critici per cercare di discernere fra gli uni e gli altri e per valutarli).
Purtroppo la società in cui viviamo cerca in tutti i modi di cancellare la distinzione, per ovvi motivi (nei discorsi dei politici, nei messaggi pubblicitari, nei notiziari, ecc).
Dunque va bene se un bambino si inventa una parola (tutti i bambini lo fanno assieme ad altre cose buffoncelle): verrà dimenticata il giorno dopo, oppure, se merita, entrerà nel lessico famigliare, e potrebbe anche entrare nella lingua: ma non da domani, solo perché una moltitudine di babbei con un babbeo in testa si mette a usarla: penso fosse questo il senso del commento dell’Accademia della Crusca.
Non va bene se il bambino non è messo in grado di cogliere la differenza fra una parola esistente e un’invenzione linguistica, e va proprio male se gli si confonde le idee facendogli credere che la creatività consista solo di un libero esercizio della fantasia, senza motivazione, senza regole, senza scopo. Solo nell’ottica del banale ottimismo berlusco-renziano accade che lo sciocco esercizio di fantasia produca qualcosa di non sciocco, o addirittura risolva i problemi e faccia superare la crisi (di nuovo, totale confusione tra fantasia e realtà).