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Civetta

Non era ancora il tramonto, ma il cortile era già in ombra. L’uomo sul balcone del secondo piano pensò che le case popolari fossero così povere da non avere nemmeno diritto alla luce. Appoggiato alla ringhiera, lasciò la cenere penzolare dal mozzicone che stringeva tra pollice e medio. Aveva smesso con le cose superflue.

Il monolocale era spoglio, giusto un materasso per terra e qualche libro. Una lampadina bruciata era appesa al soffitto. Le serrande si erano rotte tempo prima. Ne aveva approfittato e si era fatto staccare la luce. Viveva secondo natura, svegliandosi all’alba e dormendo quando era troppo scuro per leggere. Una parte dei soldi guadagnati pulendo le scale finiva in sigarette, il resto nelle rose. Da quando aveva iniziato a comprarle, non poteva permettersi più di un pasto al giorno.

Si mise addosso qualcosa di pulito e riempì un sacco nero con i vestiti sparsi per terra.

Al lavasecco scambiò un saluto con gli altri clienti. Le solite facce, il solito cenno. Avviò la centrifuga e uscì, come sempre. Coprì l’isolato che lo separava dalla fioraia sentendo crescere in lui l’eccitazione.

La donna dietro al bancone sorrise. Arrossendo, gli chiese se avrebbe comprato una rosa al giorno anche per lei. L’uomo scosse la testa, poi lasciò le monete sul bancone e uscì.

Giorno dispari: rosa bianca.

Non faceva pulire il gambo; le spine dovevano ricordare il possibile dolore di ogni bellezza. Soffrire ogni giorno aiuta a non soffrire più. Una sorta di veleno. Recuperò i vestiti e tornò a casa. L’eccitazione era diventata aspettativa.

Pochi metri distanziavano il suo balcone da quello dell’appartamento di fronte. Le tende fini e l’interno ben illuminato erano suoi complici. Su quello strano palcoscenico, lo spettacolo era già iniziato. Un letto matrimoniale e due ragazzi davanti: lei era inginocchiata, stava facendo un pompino.

L’uomo non riusciva a mettere a fuoco la nudità di lei ed era costretto a immaginarla. Si accese una sigaretta; i due ora erano sul letto.

All’uomo parve che la ragazza lo guardasse. Urlava e gemeva e lo guardava.

L’uomo spense la sigaretta e si abbassò i pantaloni.

Iniziò a masturbarsi cercando lo sguardo di lei. Il buio escludeva tutto ciò che li circondava. C’erano solo lui e la ragazza. Di lei sapeva che aveva gli occhi grigi e qualche lentiggine, i capelli castani e un cappotto rosso. Sapeva anche che le piaceva essere presa da dietro, come in quel momento. Le sue urla gli facevano credere che fosse lui a fotterla.

Non era venuto. Quei due avevano finito e lui era rimasto col cazzo mezzo moscio in mano. Avevano spento la luce e l’avevano lasciato là da solo, in mezzo al nulla.

Ancora nudo, si buttò sul materasso.

La sveglia suonò: il sole ancora non illuminava la casa nella sua interezza. Aveva dormito poco e male. Mentre si radeva, le crepe dello specchio gli restituirono il volto deforme di un mostro. Arricciò le labbra. Le guance scavate erano lenzuoli impigliati agli zigomi pronunciati. Non sì sentì più brutto del necessario.

Prima di uscire recuperò la rosa dal vaso. L’acqua aveva mantenuto i petali freschi. Uscì di casa e, come ogni mattina, deviò verso l’altro condominio. Il portone era spalancato come tutti gli altri. Salì per i due piani e si trovò di fronte all’appartamento. Posò la rosa sul gatto dello zerbino e se ne andò.

A lavoro, la ripetitività del pulire le scale lo fece sprofondare nel proprio malessere. La ragazza lo aveva deluso. Per la prima volta, dopo mesi, non era più riuscita a soddisfarlo. Forse era il momento di cambiare. Decise di non pensarci.

La giornata proseguì anonima. Niente eccitazione, nessuna aspettativa. Al lavasecco, anche le facce degli avventori gli parvero maschere di tristezza. Persino la fioraia aveva di meglio da fare che dargli attenzione.

Giorno pari: rosa rossa.

Questa volta era in anticipo. Rimase in balcone a fumare finché non vide accendersi la luce dell’appartamento di fronte. Era irrequieto: aveva persino già sbottonato i pantaloni. Si concentrò su quello che vedeva e, quando non bastava, su quello che immaginava. Con la mano emulava il ritmo del bacino del ragazzo.

Non funzionò. Non era riuscito a concentrarsi, le urla della ragazza erano un’eco lontana. Si rivestì. Ormai era chiaro cosa dovesse fare. Non poteva più evitarlo.

Aspettò di vedere il ragazzo uscire dal condominio.

Le due: era una civetta pronta a braccare la preda per il proprio sostentamento.

Si vestì di tutto punto. Prese la rosa dal vaso e strinse il gambo, poi lo sfregò contro le proprie guance.

E’ necessario pensò nel salire le scale.

E’ necessario pensò nel bussare alla porta.

E’ necessario pensò nel guardare la ragazza.

E’ necessario pensò mentre sentiva rinascere il desiderio dentro di sé. Il corpo nudo di lei a terra, una collana di lividi a cingerle il collo e il sangue, il sangue a ridare passione a quel fiore che sembrava ormai appassito

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