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Gli idioti del “Mein Kampf”

“E’ un pezzo di storia che fa ancora paura solo a parlarne. Ed è comprensibile perché gli uomini fanno scattare una legittima difesa contro il male assoluto. Parliamo di Hitler e del nazismo, la più grande tragedia – insieme al comunismo staliniano – del Novecento e tra le più orrende della storia intera del mondo.”

Questa è la motivazione fornita da Sallusti, direttore del quotidiano Il Giornale, a chi contesta la sua scelta di aver venduto, insieme al proprio giornale, una copia del “Mein Kampf” di Hitler.
Qualcosa di vero, in ciò che ha detto, c’è: è un pezzo di storia che fa ancora paura solo a parlarne.
E, difatti, io non ho problemi nel confessare che questa iniziativa mi ha terrorizzato. Io, che ritengo di essere un uomo di buona istruzione e di discreta cultura, che posso affermare di essere un lettore oggettivamente forte, sono terrorizzato e preoccupato dal gesto effettuato da Il Giornale. Attenzione: non perché sia la Storia di cui fa parte, a farmi paura; non perché voglia ignorare o dimenticare ciò che l’uomo ha dimostrato di poter fare, quando è la follia più pura ad animarlo.
Ciò che mi inquieta, al contrario, è che nessuno voglia vedere o voglia ammettere la gravità del significato che si cela dietro questa scellerata scelta editoriale. Ed è di questo che voglio parlare.

Ho detto di considerarmi in maniera oggettiva un lettore forte. Facciamo chiarezza con un po’ di numeri: il 9,1% delle famiglie italiane non ha alcun libro in casa e solo 4 persone su 10, nel 2015, hanno letto almeno un libro per piacere personale. I dati sono fonte ISTAT. Se già sembra poco – perché è poco – va ricordato che la categoria generica “libri” comprende quelli delle varie web-star, degli sportivi, dei personaggi televisivi, e ancora i libri di cucina, quelli che ti spiegano come avere una vita zen e quelli che ti ricordano dell’inferiorità del tuo partner semplicemente perché di sesso opposto. Tutte queste sottocategorie – che in verità sono molte e molte e molte di più – fanno sì che i numeri dell’ISTAT non sprofondino in qualcosa di ancora più raccapricciante. Dunque, per quello che credo io, potrebbe essere giusto affermare che mezza persona su 10 abbia letto un libro definibile tale. Non voglio iniziare qui una polemica sterile: il mercato editoriale continua a funzionare anche grazie ai libri di Cannavacciuolo, quindi non ho alcun problema con chi ne acquista una copia; al massimo, ho un problema con chi acquista solo quel libro. Io, però, sono un lettore consapevole e, in quanto tale, rivendico serenamente di aver letto testi pessimi come “50 sfumature di grigio”.
Detto questo, è evidente che molte di queste persone – che al più comprano i libri finti dell’Ikea per decorare casa – si ritrovano oggi con una magnifica copia del “Mein Kampf” di Hitler. Ho letto di persone che hanno affermato “meglio. Un libro in più. Sempre meglio che averne zero”. Sbagliato. Meglio averne zero. Perché un uomo che non ha mai avuto voglia di prendere in mano Melville, avrebbe dovuto andare in edicola (anche i quotidiani sono in crisi, sì), comprare un giornale – anzi, Il Giornale – e uscirne con il “Mein Kampf”? La risposta è semplice e intuitiva: perché è il “Mein Kampf”, perché è il testo scritto da Hitler.
Dunque, a mio modo, si delinea già che la maggioranza degli acquirenti sono divenuti tali in quanto attratti – spaventati o meno – dal fatto che fosse un testo di Hitler. Fa di loro dei nazisti? Certo che no. Ciò che è certo, però, è che parliamo di persone non educate alla lettura, quindi sprovviste dell’opportuno senso critico. E immagino che per affrontare il “Mein Kampf” serva molto senso critico.
Ora, cosa può succedere a degli uomini affascinati dal senso del proibito, attratti dalla figura di Hitler e sprovvisti della minima capacità di comprendere ciò che sta loro davanti, quella minima capacità che permette di stare dall’altra parte e di affrontare ogni lettera mettendola in dubbio e contestandola? Può succedere che dopotutto, non tutto è così sbagliato. D’altronde l’unico errore di Mussolini è di aver assecondato Hitler. Saranno loro dei potenziali nazisti? Certo che no.

Cerchiamo ora di identificare i lettori – occasionali o meno – de Il Giornale. La linea editoriale è schierata apertamente a destra e si è spesso dimostrata fiera conservatrice del populismo più becero. Stiamo parlando di un quotidiano che spesso e volentieri attacca il diverso, lo straniero, il più debole; un quotidiano che finge di non comprendere la gravità dell’attaccare l’Unione Europea e del farla passare, agli occhi dei propri lettori, come un cancro e non come la benedizione che è. I lettori di questo quotidiano, verosimilmente, ne condividono le idee. Non è il mio un attacco a chi si rivede in politiche di destra, è un attacco a chi è ignorante e si rivede nell’ignoranza, solo perché è di più semplice accesso e comprensione.
In un periodo storico drammatico di cui sono grandi protagonisti i flussi migratori, in cui la crisi finanziaria non vuole spiegare la propria natura a chi non ha voglia di cercarla, in cui ogni politico è un cialtrone e la figura di Putin viene idolatrata, come può essere visto un personaggio autoritario come Hitler?
In un’Europa in cui l’estrema destra risorge dalle proprie ceneri e le svastiche tornano disegnate sui muri; in un’Europa in cui ogni mussulmano è visto come un kamikaze; in un’Europa in cui ancora froci ed Ebrei; in un’Europa in cui se proprio c’è stato un olocausto, gli Ebrei se lo sono fatti da soli; in un’Europa pronta ad accogliere la Turchia di Erdoğan e che solo sottovoce è disposta a dire genocidio degli Armeni; ecco, in questa Europa, come si inserisce il “Mein Kampf” e l’ideologia che racchiude?
Dopo anni di bombardamenti mediatici, quante persone vulnerabili potrebbero cadere vittima di un testo che si è già reso capace di sedurre un popolo intero? La risposta, mettendo da parte la nostra arroganza, è: tante.

Questo mi sconvolge della viscida scelta de Il Giornale, di questa loro stupida provocazione passata come la volontà di, al contrario, informare. La verità è che è stato messo tra le mani di molte persone un testo che, altrimenti, queste non sarebbero mai andate a comprare. Ma se tu lo offri proprio lì, inviti all’acquisto. Quindi è sbagliato affermare che chi lo ha comprato, lo avrebbe fatto comunque. Proprio no. Giusto qualcuno, naturalmente.

Alla luce del mio ragionamento, reputo opportuno scagliarsi contro la finta classe intellettuale italiana, da quelle romantiche sfumature radical-chic, che, pur di rimanere fedele alla propria radicata controtendenza, afferma che non vi sia nulla di male in ciò che è stato fatto. Che il testo va letto e compreso. Vero. Verissimo. Ma quanti hanno, da soli, il mezzo per farlo? Badate bene, questa non è un’obiezione elitista. Questa è un’obiezione mossa dall’umiltà. Io, per diventare un lettore consapevole, ho avuto bisogno di essere educato. Chiunque, per diventare un lettore consapevole, ha bisogno di un lungo percorso fatto di libri e lezioni e cultura. Non ci si inventa lettori dall’oggi al domani. Non si diventa padroni di raziocinio prendendo delle proteine.
Quando difendete la scelta de Il Giornale, col vostro voler essere libertini a ogni costo, sostenete il voler dare il “Mein Kampf” in mano a chi fa fatica a leggere un post di Facebook che superi le cinque righe, a chi ha deficit di attenzione gravi nell’affrontare un articolo di giornale, a chi questo non lo leggo perché è troppo lungo.
Voi, signori miei, dall’alto della vostra profonda cultura accuratamente costruita a colpi di Kundera e Saint-Exupery, arrogate a voi stessi il diritto di consegnare il “Mein Kampf” a chi ancora crede che Corona abbia semplicemente fatto delle foto.
Dall’alto della vostra cultura artificiosa e fasulla, pretendete un libero accesso al “Mein Kampf”, dimostrandovi ottusi nel non comprendere quanto ciò possa essere pericoloso e dimostrando di non avere alcun timore nel parlare di un testo così spaventoso, di non aver alcuna concezione di ciò che il “Mein Kampf” ha rappresentato e rappresenta.
Allora, signori miei, un po’ di umiltà da parte tutti e venga riposta, per una volta, questa perenne voglia di contraddire e provocare, di scandalizzare.
Chi vuol capire e comprendere il “Mein Kampf” saprà sicuramente farlo anche senza che questo venga distribuito su scala nazionale da un quotidiano.

E a chi mi tacciasse di moralismo, posasse Kundera e leggesse De Amicis, che poi ne riparliamo.

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Petaloso: l’ennesima occasione persa dall’Italia.

Probabilmente conoscete tutti la vicenda legata al termine petaloso e trovo quindi superfluo rimarcare che sia un neologismo “nato” dalla fantasia di Matteo, un bambino di terza elementare.
Come sapete, Matteo ha scritto petaloso in un tema scolastico e la sua insegnante, Margherita Aurora, dopo averlo evidenziato come errore, ha pensato che potesse essere una parola adeguata per la lingua italiana e, di conseguenza, meritevole di fare parte del nostro vocabolario.
Margherita Aurora ha così deciso di far valutare petaloso all’Accademia della Crusca e, una volta ricevuto il responso, ha deciso di condividerlo su Facebook.
L’Accademia della Crusca ha osservato che petaloso sia un vocabolo ben composto e molto chiaro e, di conseguenza, potenzialmente utilizzabile nella lingua italiana. Solo potenzialmente, però: affinché un termine venga riconosciuto come membro del nostro patrimonio linguistico, deve essere largamente diffuso tra il popolo. Insomma: deve essere un termine popolare.
Ha così preso vita una mobilitazione del web finalizzata alla promozione di petaloso. Una causa che ha visto coinvolti numerosi cittadini, importanti multinazionali e persino il Presidente del Consiglio Matteo Renzi.
Questo, per il piccolo Matteo, deve proprio essere un sogno da cui non svegliarsi mai.

Qual è il problema, allora?
Il problema è che i sogni sono labili e il più delle volte tendono a degenerare in incubi. E’ esattamente quello che potrebbe accadere a Matteo e a petaloso, dopo che la sovraesposizione dei media – per una volta corretta, aggiungerei – ha sì reso di comune conoscenza la vicenda, ma, allo stesso tempo, l’ha costretta nello scoprire il fianco al cinismo fiacco e frustrato che popola internet.
Petaloso è stato preso di mira dagli internauti che non hanno esitato a trasformarlo nell’ennesimo fenomeno trash. Se da un lato è di facile deduzione lo sciacallaggio di numerose pagine Facebook, che non fanno altro che sfornare contenuti di infimo livello e che sono alla costante e perpetua ricerca di click da parte degli iscritti, dall’altro è ancora più agevole comprendere come gli stessi utenti agiscano con una cattiveria immotivata e gratuita, figlia dell’invidia e della sola capacità di non comprendere.
L’ignoranza – in Italia dilagante molto più che in altri stati dell’Unione Europa – impedisce di capire quanto petaloso sia non solo una speranza, ma soprattutto un’opportunità.

Innanzitutto l’insegnate andrebbe erta a emblema della buona scuola e contrapposta a tutto ciò che vi è di inadeguato all’interno dell’istituzione scolastica. Margherita Aurora ha dimostrato di non volersi limitare, come molte sue colleghe e colleghi, a bollare come errore una parola sbagliata. Al contrario, ha dato una lezione molto importante alla sua classe: un errore può essere trasformato in qualcosa di positivo e non sempre ciò che definiamo sbagliato lo è per forza. Margherita Aurora, incentivando Matteo, ha incoraggiato i suoi ragazzi a non essere degli studenti passivi e svogliati, ma parte della loro materia di studio: la cultura italiana.
Proseguendo, lo stesso Matteo, fatto tesoro di questa esperienza, potrebbe diventare un uomo che non sprecherà la propria vita davanti a uno schermo, senza avere la ratio per discernere ciò che non andrebbe mai e assolutamente toccato.
Forse Matteo, avendo una famiglia e dei docenti che lo incoraggiano, non si sentirà costretto a essere alternativo, a pensare che le persone intelligenti e furbe debbano per forza avere un pensiero alternativo e controcorrente. Forse Matteo si renderà conto che, prima di tutto, nella vita è necessario averlo un pensiero. Forse Matteo comprenderà che è dietro a un’iniziativa come quella della sua insegnante che si deve unire una Nazione, rivendicando la propria identità, e non dietro a vuoti slogan e luoghi comuni.

Quello che ho realizzato io in questi giorni passati in disparte a osservare, è che preferiamo un sistema scolastico che non funziona, che riempie di nulla le teste dei propri studenti; preferiamo degli insegnanti che si siedono dietro a una cattedra senza avere la più pallida idea di cosa voglia dire passione; preferiamo pensare che tutto ciò che vada oltre alle addizioni sia inutile nella vita comune, inutile per pagare le bollette; preferiamo sentirci superiori, metterci sempre in una posizione antagonista, credendoci cinici e furbi, senza capire che siamo figli del nulla che rappresentano gli anni zero; preferiamo parlare, sempre, senza avere cognizione di quello che diciamo.

Ecco perché credo che quella di petaloso sia l’ennesima buona occasione sprecata dal nostro Paese.
Ecco perché credo che quella di petaloso sia l’ennesima buona occasione sprecata da noi nuove generazioni.
Ecco perché io sostengo petaloso: perché avrei voluto trovarmici io, quindici anni fa, al posto di Matteo.

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Figlio unico

Vorrei essere meno sensibile.
E più ignorante.
Vorrei essere più razionale.
E meno una testa calda.
Perché io proprio non ce la faccio a mettere i soldi davanti a tutto.
E lo so, lo so che non so ragionare in maniera lucida. Di politica, in fondo, ne capisco poco. Non so citare numeri, cifre… Quello che ognuno di voi probabilmente sa fare.
Sarei un pessimo uomo di Stato, altro che il buon ministro che si auspicava la mia insegnante di inglese. Già, ancora col ricordo fresco di una professoressa, io: ventidue anni e una maturità chiusa che sembra ieri. Ancora a sputare latte, coi miei sogni e le mie paure. Con la mia voglia di contraddire, di fare lo scemo per rallegrare la compagnia. Nessun bisogno di trasgredire.

Potrei essere chiamato
Bigotto.
Moralista.
Buonista.
Di sinistra.

o forse

Di destra.
Qualunquista.
Populista.
Qualcunista.
Scansafatiche.

Io che mi sento in colpa a deludere, che spesso mi sento fuori posto, che ogni frase che scrivo mi chiedo se sia abbastanza. E a voler dare sempre di più. E a chiedermi sempre se è abbastanza. Io che in fondo ho meno esperienza di altri. Che di macchine ne capisco poco, che un omosessuale andrebbe chiamato semplicemente persona, che di andare a ballare non ho nemmeno tutta sta voglia.
Io che non sono capace a essere sincero quando sono con altre persone.
Io

peccaminoso
sempre a desiderare la donna d’altri.
Io

innocente
sempre a rispettare la donna d’altri.
Io

un po’
timido, riservato, introverso, insicuro
pigro.
Io, con più difetti di voi, che forse nella vita non concluderò nulla.
Sono tutto, sono niente.
Sono un uomo, come voi.
Siamo uomini.
Fratelli.
Un uomo in mare, che muore.
Io piango.
Un fratello mai conosciuto.
Io piango.

La grande balena bianca
ci divorerà
tutti
a casa, barconi affondate
dove vi mettiamo
lavoro agli Italiani
colpa dell’Europa
Sì.
Ma
io piango.

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ACHILOTTA

achilotta

Eravamo noi due: io e te. Per un attimo ho pensato che sarebbe stato come sempre e ho avuto paura.
Paura delle tue parole, dei tuoi sorrisi e delle tue mani, dei tuoi pugni. Ma ho deciso di rimanere, di
non muovermi. Avrei voluto dirti tutto, ma avresti picchiato più forte. Così ho deciso che ti avrei solamente guardato,che forse avresti capito.
Ho sentito i miei muscoli tendersi, il respiro affannarsi. Sentivo il tuo profumo farsi sempre più intenso. Era già odore di uomo. La tua voce, di ragazzo.

Sognavo di me e di te. A Roma, magari. Non l’ho mai vista, Roma. Avremmo passato le giornate a Villa Borghese, a ridere, e la sera avremmo visto insieme il tramonto dal Pincio, io tra le tue braccia.

Non mi ha fatto male cadere.
Non mi hanno fatto male i tuoi calci. Quelle lacrime non erano sincere.
Non mi hanno fatto male i tuoi sputi.
Forse non essere il tuo amore, ma solo un frocio di merda.

Dedicato a Simone, Roberto e a chi, come loro, non ha più avuto la forza di lottare.

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