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#PrayForParis

Credo che una delle cose più intelligenti e che non vadano a perdersi nel fiume dei luoghi comuni l’abbia scritta Sgarbi:

“Il Dio della morte non è Dio.
Dio è grande e misericordioso, e dà la vita.
Il Dio che uccide è il demonio. È il male: non può vincere.”

In un mondo che va sempre più verso la negazione di Dio e di ciò che vi può essere di spirituale, è facile che lo stesso termine “Dio” muti di significato, di quel senso di amore e misericordia che da sempre lo arricchisce, per arrivare a essere una questione tra uomini, una bandiera all’insegna della quale si vuol far credere di combattere.
Non è difficile comprendere che nessuno stia uccidendo all’insegna di un qualche Dio, che “uccidere un innocente è come uccidere l’intera umanità” e che siano tutte questioni politiche più grosse di noi civili che, al più, siamo vittime sacrificabili.
Così quello stesso Dio che dovrebbe governare il Creato tutto, quella stessa entità cui le diverse religioni attribuiscono un nome differente, smette di essere portatore di amore e bellezza e si impoverisce in un messaggio di morte, mero oggetto di una contesa tra ignoranza e inciviltà.
Come ha scritto Sgarbi, Dio non può incarnare il male, o non esisterebbe il demonio.
E allora che fine ha fatto il bene, nell’umanità? Il nostro mondo ruota davvero grazie a motori di odio e malvagità?
Eppur non possono bastare questi episodi, mediocri manifestazioni di ciò che la crudeltà umana può fare, a scacciare dalla mia mente la quantità di bellezza che ogni giorno mi circonda.
Prima ancora di identificarci con Parigi, prima ancora di scendere nelle piazze a ripetere parole altrui, nella solitudine della nostra individualità dovremmo chiederci che fine abbia fatto la bellezza nel nostro mondo; o quella voglia di meravigliarsi del diverso, diverso che ormai siamo tanto rapidi a odiare dopo tragedie del genere.
Non chiediamoci dove sia DIo, domandiamoci perché non riusciamo più a vedere e comprendere ciò che rappresenta.

Manifesto la mia vicinanza a Parigi, a chi muore per non aver fatto nulla, continuando a fare ciò che, facendomi sentire vivo, contrasta la morte: scrivere.
Il mio inno alla vita è cercare di vivere ogni giorno che mi è concesso al massimo delle mie possibilità e non come un cadavere che si trascina verso la fine.

Lascio con due brani di American Beauty, sicuramente più importanti delle mie parole e che non mi stuferò mai di ricordare:

“…ma è difficile restare arrabbiati quando c’è tanta bellezza nel mondo. A volte è come se la vedessi tutta insieme, ed è troppa. Il cuore mi si riempie come un palloncino che sta per scoppiare. E poi mi ricordo di rilassarmi, e smetto di cercare di tenermela stretta. E dopo scorre attraverso me come pioggia, e io non posso provare altro che gratitudine, per ogni singolo momento della mia stupida, piccola, vita.”

“Era una di quelle giornate in cui tra un minuto nevica. E c’è elettricità nell’aria. Puoi quasi sentirla… mi segui? E questa busta era lì; danzava, con me. Come una bambina che mi supplicasse di giocare. Per quindici minuti. È stato il giorno in cui ho capito che c’era tutta un’intera vita, dietro a ogni cosa. E un’incredibile forza benevola che voleva sapessi che non c’era motivo di avere paura. Mai. Vederla sul video è povera cosa, lo so; ma mi aiuta a ricordare. Ho bisogno di ricordare. A volte c’è così tanta bellezza nel mondo, che non riesco ad accettarla… Il mio cuore sta per franare.”

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Figlio unico

Vorrei essere meno sensibile.
E più ignorante.
Vorrei essere più razionale.
E meno una testa calda.
Perché io proprio non ce la faccio a mettere i soldi davanti a tutto.
E lo so, lo so che non so ragionare in maniera lucida. Di politica, in fondo, ne capisco poco. Non so citare numeri, cifre… Quello che ognuno di voi probabilmente sa fare.
Sarei un pessimo uomo di Stato, altro che il buon ministro che si auspicava la mia insegnante di inglese. Già, ancora col ricordo fresco di una professoressa, io: ventidue anni e una maturità chiusa che sembra ieri. Ancora a sputare latte, coi miei sogni e le mie paure. Con la mia voglia di contraddire, di fare lo scemo per rallegrare la compagnia. Nessun bisogno di trasgredire.

Potrei essere chiamato
Bigotto.
Moralista.
Buonista.
Di sinistra.

o forse

Di destra.
Qualunquista.
Populista.
Qualcunista.
Scansafatiche.

Io che mi sento in colpa a deludere, che spesso mi sento fuori posto, che ogni frase che scrivo mi chiedo se sia abbastanza. E a voler dare sempre di più. E a chiedermi sempre se è abbastanza. Io che in fondo ho meno esperienza di altri. Che di macchine ne capisco poco, che un omosessuale andrebbe chiamato semplicemente persona, che di andare a ballare non ho nemmeno tutta sta voglia.
Io che non sono capace a essere sincero quando sono con altre persone.
Io

peccaminoso
sempre a desiderare la donna d’altri.
Io

innocente
sempre a rispettare la donna d’altri.
Io

un po’
timido, riservato, introverso, insicuro
pigro.
Io, con più difetti di voi, che forse nella vita non concluderò nulla.
Sono tutto, sono niente.
Sono un uomo, come voi.
Siamo uomini.
Fratelli.
Un uomo in mare, che muore.
Io piango.
Un fratello mai conosciuto.
Io piango.

La grande balena bianca
ci divorerà
tutti
a casa, barconi affondate
dove vi mettiamo
lavoro agli Italiani
colpa dell’Europa
Sì.
Ma
io piango.

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