Visto che due anni fa – devo dire inaspettatamente – mi hanno scritto in molti per ringraziarmi dei consigli che vi ho dato sui libri da regalare (o, perché no, regalarvi) per Natale, ho deciso di riproporvi una lista anche quest’anno.
Robert Louis Stevenson, Il Master di Ballantrae (ed. Garzanti «Grandi Libri», 2000)
Questo romanzo mi ha tenuto compagnia durante il lockdown: l’ho divorato. Di Stevenson avevo già letto Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde e L’isola del tesoro, ma qui stiamo parlando di tutt’altro. Il Master emana un’aurea imponente sin dalla prima pagina, dandoci l’impressione di un’imminente e inevitabile sventura che si abbatterà non solo sui protagonisti, ma anche sulle nostre anime che, dopo essere state spettatrici del conflitto tra i due rampolli della famiglia Durrisdeer, non potranno più guardare il mondo alla stessa maniera. Non manca il contesto storico, quella dell’insurrezione giacobita del 1745.
Ballantrae spesso decideva la strada da seguire lanciando in aria una moneta, e una volta, poiché avevo protestato contro tale comportamento puerile, mi rispose con una strana osservazione che non dimenticherò mai. «Non conosco modo migliore», disse, «per esprimere tutto il mio disprezzo per la ragione umana».

John Steinbeck, Uomini e topi (ed. Bompiani «1929_2019», 2019)
In qualche modo tutti hanno sentito parlare di George Milton e Lennie Little, il cui sodalizio li porta ad attraversare, come braccianti stagionali, l’America con l’obiettivo di mettere da parte abbastanza soldi da poter realizzare il loro sogno, acquistare un pezzo di terra a Hill Country dove potersi isolare da un mondo spietato, dove potersi rifugiare, dove poter allevare qualche coniglio. George, cinico e disilluso; Lennie, un bambino confinato nel corpo di un gigante. Questo romanzo, scritto nel 1937, sembra dirci che il sogno americano non esiste, non è possibile, e che i progetti degli uomini sono futili e possono essere facilmente stravolti dal destino.
Da segnalare l’uscita di un graphic novel edito sempre da Bompiani.
George proseguì. “Per noi non è così, noi abbiamo un avvenire. Possiamo parlare con qualcuno al quale importa di noi. Non dobbiamo starcene seduti in un bar e buttar via i soldi solo perché non abbiano un altro posto dove andare. Se gli altri tizi vanno in galera possono marcire, per quello che importa alla gente. Noi invece è diverso.”

Marcello Fois, I Chironi (ed. Einaudi Super ET, 2017)
Una delle saghe famigliari italiane più belle. Questo libro raccoglie i tre romanzi che hanno per protagonisti i Chironi: Stirpe, Nel tempo di mezzo, Luce perfetta. A fare da sfondo, la Sardegna (terra natale dell’autore). Questi romanzi hanno qualcosa di epico – soprattutto Stirpe – e la voce autorevole di Fois sembra quella di un cantore vissuto secoli fa. Che la narrazione riguardi i primi anni del ‘900, o gli ultimi, l’impressione che si ha è che l’autore ci prenda per mano per essere la nostra guida e farci comprendere un secolo di storia italiana da un punto di vista diverso, più decentrato.
Luigi Ippolito si è messo disteso sul letto rifatto. È vestito di tutto punto, i bottoni della tonaca brillanti, le scarpe lucidate a specchio. Come sempre è stato e sempre sarà, si chiama per cognome e nome Chironi Luigi Ippolito e, senza muoversi, si mette in piedi per guardarsi composto, morto, pronto da piangere. L’Uno sta lì, preciso a se stesso, l’Altro lo fissa, inquieto, pietrificato, ma turbolento, dritto e secco come un insulto detto in faccia, tra il letto e la finestra. Che la fissità dell’Uno è parvenza e la fissità dell’Altro è controllo.

Andrew Sean Greer, Less (ed. La nave di Teseo, Oceani, 2017)
Arthur Less è uno dei protagonisti più simpatici che possiate trovare. Un dinoccolato scrittore americano omosessuale prossimo ai cinquant’anni e convinto di essere un fallito, sia come autore che come uomo. In questo romanzo Arthur scappa da una cocente delusione amorosa, ritrovandosi in Giappone, Italia, Germania, Marocco, ecc. e in ogni sua tappa non si potrà che empatizzare con lui, imparando sempre più a conoscerlo e, poco ma sicuro, a conoscere anche noi stessi. Il tutto, però, ridendo.
Ed eccolo lì in piedi dentro la sua stanza di carta, il nostro baldo protagonista. Immobile, i pugni stretti. Chi lo sa che cosa si agita in quella sua testa balorda? Gli uccelli, il vento, la fontana sembrano riecheggiare come se giungessero dal fondo di un lunghissimo tunnel. Volta le spalle al giardino, che si anima fluido dietro il vetro antico, verso la parete di carta. La porta, suppone, è questa. Non per entrare nel giardino, ma per uscire. Sono solo bacchette di legno e carte. Qualunque altro uomo li abbatterebbe con un soffio. Ma da quanto tempo esiste? Ha mai visto un fiocco di neve?

Thomas Girst, Tutto il tempo del mondo (ed. add editore, 2020)
Un orologio alto 150 metri. Un vinile che viaggia nello spazio. Un brano riprodotto per 600 anni. E ancora: criogenia, Duchamp, gocce di pece, Proust, giardini zen, Egizi ed enciclopedie, artisti e scienziati. A legarli, il tempo. Questo è quello che Thomas Girst ci racconta nei 28 capitoli di questo libro, avventurandosi come un flaneur nei veli della Storia e mostrandoci come il tempo e l’eternità siano da sempre la vera ossessione dell’uomo. E mentre Jeff Bezos si preoccupa di innalzare un orologio che possa scandire il tempo per 10.000 anni, non possiamo che sorridere amaramente pensando a programmi politici che non vanno oltre le prossime elezioni. In un’epoca votata al tutto e subito, facciamo difficoltà a credere che un postino abbia passato 33 anni a raccogliere ciottoli e conchiglie per costruire il suo Palais Idéal. Eppure, quello che Girst vuole insegnarci è proprio questo: ritrovare il piacere dell’attesa, dell’essere pazienti. Lo fa anche con la sua scrittura, in un libro che è una vera e propria celebrazione della lentezza. Così, leggendo di grandi artisti che hanno dedicato le loro intere vite per completare un’unica opera, scopriamo che è ancora possibile isolare questo mondo frenetico e imparare a prendersi il proprio tempo.
Oltre a cadere nell’oblio, a una grande mente non può forse capitare nulla di peggio che continuare a vivere per la posteriorità soltanto in virtù di un’aneddoto: Newton e la mela, Martin Lutero e il calamaio, Socrate e la coppa di cicuta, Diogene e la botte, Colombo e l’uovo, van Gogh e l’orecchio. Da questo punto di vista, il più colpito è stato Marcel Proust.

William Shakespeare, Macbeth (ed. Mondadori, Oscar baobab classici, 2018)
Macbeth è una delle mie tragedie preferite. È superfluo parlarne. Questa è un’edizione illustrata e i disegni sono di Ferenc Pinter. Ve ne innamorerete. Il testo è solo in italiano, quindi se cercate l’originale a fronte dovete rivolgervi ad altre edizioni. Questa, però, è un gioiello. Copertina rigida, grande formato, illustrazioni ben definite: il modo migliore per godersi la lettura di questo capolavoro.

Adolfo Bioy Casares, L’invenzione di Morel (ed. SUR, 2017)
Scrittore argentino, Adolfo Bioy Casares sceglie come protagonista del suo romanzo più celebre un ergastolano che, in fuga, approda su un’isola deserta. In apparenza, però. La verità è che l’isola è abitata da persone misteriose, che il protagonista cerca di evitare in ogni modo per la paura di essere riconosciuto. La solitudine, però, e la voglia di conoscerle gli faranno scoprire che la realtà non è come sembra. Un romanzo breve, eppure intenso, con forti richiami all’Isola del dottor Moreau di H.G. Wells.
Da quel momento fino a oggi pomeriggio, la vergogna mi ha tormentato, e con questa il desiderio di inginocchiarmi davanti a Faustine. Non ho potuto aspettare fino al tramonto. Sono andato alla collina, deciso a rovinarmi, e con il presentimento che, nel migliore dei casi, mi sarei abbandonato a suppliche da melodramma. Mi sbagliavo. Sta succedendo qualcosa di inspiegabile. La collina è disabitata.
